Niente di nuovo, ma

Non c’è nulla di nuovo nella storia dei manifestanti che ieri mattina, a Vicenza, sono stati caricati e manganellati dalla polizia in tenuta antisommossa.

Ma si può ricordare che le volte in cui si sono verificati scontri durante i cortei in questa città, è stato in occasioni ben precise: quindici anni fa quando si lottava contro la terza base militare statunitense vicentina, la caserma Dal Molin (rinominata in corsa “Dal Din” nel tentativo di far perdere la memoria di battaglie accanite e molto partecipate); ieri per aver provato a esprimere il dissenso verso la presenza del padiglione di Israele alla fiera dell’oro. Entrambe questioni di orgoglio vicentino – leggi tornaconti personali e servitù militari di vecchissima data.

Non è inoltre una novità che i giornali modulino la realtà a seconda dei propri interessi ma ieri pomeriggio, una volta terminato il corteo alla fiera, diecimila persone hanno marciato ancora per sollevare una discussione pubblica sulla legittimità della presenza di Israele alla fiera. Per chiedere alle istituzioni di riflettere su questa scelta e di prendere posizione. Ma, al contrario degli scontri della mattina, non abbiamo letto nulla in proposito sulle testate nazionali.

E in più le suddette istituzioni, perdendosi tra (presunti) buoni sentimenti e retorica, sbrodolando sull’arma e scomodando anche i padri costituenti, hanno perso una preziosa occasione per esprimersi sul genocidio in atto in Palestina. In pratica, la notizia non è più stata il padiglione israeliano né l’accanimento di Israele sulla popolazione della striscia di Gaza, ma “i violenti incappucciati e armati, antidemocratici e incoerenti”, come si legge sui social.

Dimenticando quindi di relativizzare l’accaduto in relazione al pesante problema posto dai manifestanti, nel tentativo di non sbilanciarsi – come è giudiziosamente richiesto alle figure istituzionali (anche qui, nessuna novità) – le personalità pubbliche si sono al contrario sbilanciate eccome, approvando gli attacchi della polizia contro manifestanti anche molto giovani e criminalizzandone le azioni concrete, ossia modificare il percorso del corteo per entrare nella zona della fiera, nel tentativo di bloccarne l’entrata. Un’intenzione, quest’ultima, che avrebbe avuto un potente significato simbolico e che racconta un ritrovato entusiasmo delle associazioni e dei collettivi, ripopolati (dopo un’ondata di disinteresse legata, in parte, ai lockdown per l’epidemia di covid) da giovani studenti e ragazzi appassionati e interessati ad avere un ruolo nelle decisioni politiche.

Evitare di deludere e incattivire tutti loro – non solo quelli che sono stati pestati, a volte anche tre contro uno, ma anche tutti quelli che hanno assistito alla scena o sentito la notizia – contro una “democrazia” che impedisce di manifestare, non dovrebbe essere la preoccupazione principale di sindaci ed assessori alle politiche giovanili? Dare una risposta istituzionale che sia educativa per chi ha scelto, con la passione di chi così giovane sceglie di lottare per le idee che ritiene giuste, non dovrebbe prevalere su “ciò che un sindaco dovrebbe dire”?

A quanto pare no; le nuove generazioni vanno scoraggiate con la violenza, ignorate, deluse e, all’occorrenza, criminalizzate. Forse perché non aprire un dialogo tiene vivo il rapporto conflittuale con le forze dell’ordine, e la paura che è alla base del potere stesso di queste ultime. Ma questo è un altro discorso (e di certo non una novità).

Cara Vicenza, anche stavolta non se ne va fuori ma sappi che chi resiste non mancherà mai, neanche “in ‘sta città de rotti in culo, de fassisti e baccalà”.

Alla prossima

Soledad

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