MUOIONO LAVORATORI

sono morti dei lavoratori mentre costruivano un supermercato. Di questi morti, alcuni di loro lavoravano in nero perché senza permesso di soggiorno.

sono morti dei lavoratori. E se giustamente ci indigniamo perché dovrebbero esserci più controlli, davvero in pochi toccano un punto cruciale.

Perché queste persone non avevano un permesso di soggiorno? 

In Italia avere un permesso di soggiorno è sempre più complicato. Dal 1998, l’anno della Turco-Napolitano che è la base per qualsiasi politica migratoria in Italia, si sono susseguite leggi su leggi che in buona sostanza hanno reso sempre più complesso e frammentato il diritto dell’immigrazione. Da ormai più di dieci anni la pratica di richiedere la protezione internazionale come possibilità di avere un permesso di soggiorno (almeno) provvisorio è diventata uno strumento di governo (o non governo) del fenomeno migratorio. Questo fatto apre ad una serie di attacchi frontali alle persone richiedenti internazionale oltre che al mondo dell’accoglienza, criminalizzato e non rappresentato politicamente un po’ come le Ong che salvano vite in mare.  

Basta poi addentrarsi appena un po’ nei meandri del sistema di accoglienza italiano per capire alcune cose:

  • E’ una fucina perfetta di irregolarità 
  • E’ una fucina perfetta per le organizzazioni criminali dedite a spaccio e a prostituzione
  • E’ una fucina perfetta per rifornire un prezioso esercito di manodopera a basso costo. 

I processi di continua categorizzazione e di moltiplicazione dei tipi di permesso di soggiorno non fanno altro che complicare la situazione e burocratizzarla, rendendo sempre più difficile la vita delle persone straniere. Chi ha sbuffato perché in Italia è difficile fare il passaporto non ha mai provato un qualsiasi ufficio immigrazione delle Questure. Chi entra nella spirale dell’irregolarità difficilmente ne esce ed è questo un altro punto a favore di chi non vede l’ora di sottopagare i propri lavoratori. 

Esiste ed è chiaro il rapporto fra sistema economico e gestione dei fenomeni migratori nel nostro paese, rapporto che troppo spesso riguarda l’irregolarità amministrativa (possesso o meno di un documento) con alcuni settori della nostra economia, cruciali per il nostro pil. Dai braccianti al turismo, dalla logistica all’edilizia, l’economia italiana si fonda proprio sul lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori in parte invisibili. 

Qui non si vuole fare retorica, lasciamola pure ai programmi televisivi con giornalisti abituati a giocare la parte del buon senso. Sono quelle voci candide che solitamente si elevano in momenti definiti, tipo la Giornata della Memoria, il giorno dopo l’ennesimo naufragio nel mediterraneo, il commento ad un femminicidio. Poco importa se le loro testate sono finanziate da grandi gruppi di interessi, da banche armate o dalla grande distribuzione. Il punto fondamentale è poter continuare a legittimare l’esistenza di un certo giornalismo d’opinione a tratti magari un po’ infastidito o diplomaticamente risentito, perché si, in effetti viviamo in un brutto mondo. 

È un gesto politico commuoversi per un naufragio, come quello di Cutro, senza denunciare gli accordi fra Italia e Libia. È un gesto politico commuoversi per la condizione dei migranti lungo la rotta balcanica salvo poi legittimare con il silenzio i respingimenti continui di quei paesi e addirittura, per un tratto, dell’Italia stessa. Sarebbe così facile denunciare la pericolosità dell’accordo con l’Albania insieme a certe iniziative europee, come per esempio il continuo rifinanziamento di Frontex, vero e proprio dispositivo di esternalizzazione delle frontiere, eppure non è così. Il secondo punto manca. Come è sempre mancata una presa di posizione relativamente alla condizione di centinaia di migranti presenti a Ventimiglia o accampati in fabbriche abbandonate a Trieste. In buona sostanza, ciò che è utile per un momento di rapida commozione eurocentrica, viene trattato. Poi ci si dimentica perché arriva il festival di San Remo. 

Ad oggi non è possibile sapere la storia di questi uomini finiti sotto le macerie. Sappiamo che erano nord-africani e probabilmente irregolari. Non sappiamo come siano arrivati in Italia, se sopra ad una barca o con altri mezzi. Costruivano un supermercato. Non luogo per eccellenza, dove le persone diventano consumatori, punto di incontro fra logistica e industria agroalimentare.  Qui non si vuole fare retorica, certo è che si vive un po’ un sentimento di frustrazione. Le persone sottopagate o sfruttate in Italia non hanno rappresentanza e spesso sono schiacciate da un racconto mediatico che tende a manipolare, a nascondere e a legittimare visioni fuorvianti di questo mondo non così lontano dalla nostra vita. Sarebbe bello chiedersi per davvero quanti attivisti o politici locali, che nei social si ergono ad influencer, hanno davvero frequentato una persona richiedente asilo. Quante sono entrate in un centro di accoglienza straordinaria. Quante conoscono il diritto dell’immigrazione. Quante parlano non per sentito dire. 

Perché prima di attaccare la destra, temo, sia opportuno valutare quanto noi siamo davvero consapevoli delle battaglie che vorremmo portare avanti. È forte l’esigenza di recuperare un contatto vero con la realtà prima di volerla rappresentare. Solo così è possibile smascherare la differenza fra la qualità di un intervento confezionato per Fazio la domenica sera, utile a farci digerire prima del lunedì, e il reale ordine delle cose.

Un consiglio? Guardatevi Green Border, vi cadrà addosso una trave di un futuro Esselunga.

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