ALBUM DELLA SETTIMANA: ÊCCLABÔ DE LIBERTÁ

Califato ¾

Schiavi solo della libertà

Recentissimo ultimo album del gruppo andaluso Califato ¾, uscito il 29 febbraio scorso.

Titoli e testi orgogliosamente in andaluso, rivendicazione della cultura flamenca in ogni brano attraverso ritmi, sonorità, versi e strofe della tradizione o, come in ER PATIO DE LÔ HIRGERÔ, riferimenti e citazioni del grande cantaor e compositore Camarón de la Isla.

Spesso, inoltre, si esaltano gli aspetti del cante flamenco che più esprimono l’eredità arabo-andalusa (ad esempio, fra gli altri, il brano ÇEGAORÂ).

Il tutto reso contemporaneo da strofe parlate o rappate, suoni cibernetici, elementi elettronici ed effetti sonori.


ECCLABO DE LIBERTA – Califato ¾
2024
Flamenco, elettronica

“Make Al-Ándalus great again” (Africa del Norte)

Soledad

I BISCOTTI DANESI DEL KF

The Far Woods – “Repair is a radical act”

Bio Sonya e Nina Montenegro

Attività studio creativo di rammendo e cucito The Far Woods (USA)

Dove Instagram: thefarwoods

L’altro giorno, mentre cucivo a macchina una custodia per il pc, ho ripercorso un pensiero che faccio spesso: riusare, riparare, fare da sé gli oggetti, sono degli atti rivoluzionari molto potenti.

È un rifiuto categorico delle dinamiche del consumismo, ma allo stesso tempo nutre la voglia di rinnovamento e cambiamento che di solito chiamiamo “voglia di comprarsi qualcosa di bello”.

Allo stesso tempo, è un modo per mettere alla prova la propria creatività e manualità (e la propria pazienza, per chi ne ha poca come me).

Lo studio The Far Woods, ideato e gestito da due sorelle del Midwest negli Stati Uniti, si riappropria dell’atto del rammendo come gesto antico, lento, paziente – ossia tutto ciò di cui sentiamo la mancanza oggi.

Sulla loro pagina danno consigli su come riparare in modo creativo e colorato capi di vestiario bucati o strappati. Hanno anche scritto (e illustrato) un libro a riguardo: “Mending Life”, schematico e chiaro, per chiunque voglia avvicinarsi a questa semplice ma potentissima arte.

Soledad

[Verosimile.]

(perché non sai mai cosa ti possa succedere)

Tiro su la cerniera dell’impermeabile nuovo, quello grosso da pescatore che ho trovato finalmente l’altro giorno all’usato, dopo mesi di ricerca. Mi è un po’ grande ma tanto meglio, mi copre anche le ginocchia e i polpacci che mi si inzuppano sempre. È giallo come il cielo, una coperta di nuvole di cui non si distinguono i contorni. La solita cappa insomma, che si riflette sulle pozzanghere e sui campi di riso mettendo un filtro biancastro sul paesaggio.

Piove da tre giorni dopo sei mesi senza una goccia, la terra era una crosta talmente dura che per le prime 12 ore di temporale l’acqua è scivolata direttamente nei fossi e nei canali riempiendo già da subito i bacini d’emergenza. Poi il temporale è girato in pioggia, tiepida e monotona.

Mollo la tendina della finestra, esco di casa e prendo la macchina, completamente ammaccata dalla grandine come tutte le altre. L’ultima tempesta mi ha fatto saltare uno specchietto; andrò dal carrozziere per vedere se riesce a sistemarmelo entro stasera.

È un giorno di lavoro ma sono solo le dieci del mattino, ho ancora qualche ora prima di entrare a scuola quindi mi avvio per qualche commissione, guidando sulla strada leggermente rialzata al di sopra dei campi allagati e dei bacini di conservazione idrica. Un airone cinerino guarda le poche auto che circolano: i dintorni della città sono poco trafficati da quando hanno eliminato tutte le corriere e i bus di linea, dopo la nuova linea di tram e i convitti in ogni scuola. Mi ricordo ancora le infinite discussioni e le proteste delle famiglie, sarà stato il 2028…

Faccio il giro esterno del centro per tornare al negozio dell’usato, allestito in un hangar della vecchia caserma americana, uno degli edifici rimasti agibili dopo l’abbandono e l’incendio. Mentre entro con l’auto da quella che una volta era l’entrata principale guardo i pezzi accartocciati del cancello, ancora appesi ai cardini in modo precario, e le bandiere incrociate delle insegne, dipinte di nero e rosso con la bomboletta spray.

Al magazzino trovo un nuovo bidone per l’acqua piovana, un maglioncino di cotone (quelli di lana ormai non li uso più, neanche a gennaio) e un pannello solare 50×50. Esco soddisfatta e avviandomi al lavoro costeggio la muraglia della caserma, crollata in alcuni punti e ancora macchiata di fuliggine.

Imbocco il ponte che porta in centro scavalcando il quartiere trasformato, negli ultimi anni, in bacino di sfogo dei due fiumi durante le piene e di raccolta d’acqua per le siccità. Dall’alto osservo i muri ammuffiti dello stadio, che spunta per metà dall’acqua come il campanile di Curon, il paesino sommerso in Val Venosta. I locali abbandonati dell’edificio – raggiungibili dalla strada attraverso passerelle e ballatoi pieni di vasi di piante e di rampicanti – sono occupati dai centri sociali della città da quando alcune loro sedi sono state demolite per la costruzione del treno ad alta velocità (che ad oggi è ancora fermo a Marghera per via degli allagamenti). I muri esterni dello stadio sono coperti di graffiti fino al pelo dell’acqua, su cui spesso si vede scivolare un barchino giallo dalla vernice scrostata, che fa avanti e indietro dalla riva quando si organizza qualche evento. D’estate non è male perché la sera proiettano dei film sugli spalti e l’acqua rinfresca un po’ l’aria (non ci sono tante zanzare perché rane, carpe e pipistrelli le tengono a bada, e non c’è neanche troppa puzza). Sotto di me, non lontano sento il rumore di un treno che passa.

Ha smesso di piovere. Le poche persone in giro hanno ancora i cappucci rinforzati calati sulla fronte, ma ora di grandine non ne scenderà più. Per qualche giorno o per altri sei mesi, non sappiamo prevederlo.

Soledad

NOTA SULLE IMMAGINI:

Alcune sono false, altre, purtroppo, sono vere.

I BISCOTTI DANESI DEL KF: Green Border

GREEN BORDER, Agnieszka Holland

Opera Green Border, 2023 (docu-film)

Dove Attualmente nelle sale

Oggi la scatola di biscotti danesi ci riserva – eccezionalmente – un altro film per questa settimana: Green Border, della regista polacca Agnieszka Holland.

Un film-documentario che ci fa percorrere, insieme ad alcuni migranti dalle diverse storie e motivazioni per intraprendere il loro viaggio verso l’Europa, la zona al confine tra Bielorussia e Polonia. Una zona coperta da foreste e paludi, presidiata da soldati di entrambi i paesi che non fanno che scaricare l’uno sull’altro la responsabilità dei migranti, i cui diritti umani e la cui dignità vengono sistematicamente violati.

Un film tutto in bianco e nero che ci interroga con forza.

Soledad

ALBUM DELLA SETTIMANA: Petits sauts délicats avec grand écart

— René Aubry

Un album quasi interamente strumentale con – tra gli altri – piano, chitarra, un pizzico di bandoneon e malinconia q.b., in una ricetta zuccherata, soffice, bambina, come una mousse al cioccolato.

Per gustarlo al meglio: in cuffia, guardando dalla finestra la prima pioggerella primaverile.

Con le stesse vibe di: Sufyan Stevens, Astor Piazzolla, Yann Tiersen.


Petits sauts délicats avec grand écart – René Aubry
2018 Hopi Music
World

Soledad

IL FILM DEL SABATO: Bar Bahar – In between (2016)

Bar Bahar (Libere, disobbedienti, innamorate)

Regia Maysaloun Hamoud
Sceneggiatura Maysaloun Hamoud
Genere drammatico
Francia/Israele, 2016, 96 min

Film d’esordio della regista palestinese Maysaloun Hamoud, ha ottenuto diversi premi in festival internazionali.

Il film ci mostra che esistono diversi modi di essere donna, e che nessuno di questi dev’essere sottovalutato, oppresso, silenziato.

Sisterhood is powerful.

Attualmente disponibile su MUBI.

Soledad

ALBUM DELLA SETTIMANA

LA LEYENDA DEL TIEMPO — Camarón de la Isla

Spesso succede che i geni non vengano subito capiti dai propri contemporanei.

Per il flamenco uno di questi è stato il gaditano José Monge Cruz, detto Camarón, inizialmente criticato per quest’album sperimentale che introduceva nuovi strumenti al classico quadro formato da chitarra, cante (il canto nel gergo flamenco) e battito delle mani: nuove percussioni, il sitar, il basso elettrico.

Oggi, nel mondo flamenco, il genio pioniere del cantante e compositore è più che riconosciuto: Camarón è adorato (ai suoi funerali erano presenti migliaia di persone), il suo timbro di voce è familiare a chiunque e l’album è ormai un classico, con canzoni come La Tarara e Volando Voy.


La Leyenda del Tiempo– Camarón de la Isla
1979 PolyGram
Flamenco

Soleá

I BISCOTTI DANESI DEL KF

GLI AMERICANI A VICENZA, Goffredo Parise

Bio Goffredo Parise – Vicenza, 1929 – Treviso, 1986
Opera Gli Americani a Vicenza e altri racconti, 1966
Dove Ed. Adelphi, 220 p.

Parise è uno degli inviati dal passato (insieme a Fogazzaro) che ci ricorda che Vicenza è sempre uguale, da sempre.

Ma a lui piace scriverne come quando si racconta un sogno: frammentata in episodi simili a visioni, con particolari sia veri che inventati (ma quali?) e personaggi che spesso portano messaggi ermetici e solenni.

Consigliatissimo insieme alle altre sue opere come Il prete bello o Il ragazzo morto e le comete.

Soledad

Niente di nuovo, ma

Non c’è nulla di nuovo nella storia dei manifestanti che ieri mattina, a Vicenza, sono stati caricati e manganellati dalla polizia in tenuta antisommossa.

Ma si può ricordare che le volte in cui si sono verificati scontri durante i cortei in questa città, è stato in occasioni ben precise: quindici anni fa quando si lottava contro la terza base militare statunitense vicentina, la caserma Dal Molin (rinominata in corsa “Dal Din” nel tentativo di far perdere la memoria di battaglie accanite e molto partecipate); ieri per aver provato a esprimere il dissenso verso la presenza del padiglione di Israele alla fiera dell’oro. Entrambe questioni di orgoglio vicentino – leggi tornaconti personali e servitù militari di vecchissima data.

Non è inoltre una novità che i giornali modulino la realtà a seconda dei propri interessi ma ieri pomeriggio, una volta terminato il corteo alla fiera, diecimila persone hanno marciato ancora per sollevare una discussione pubblica sulla legittimità della presenza di Israele alla fiera. Per chiedere alle istituzioni di riflettere su questa scelta e di prendere posizione. Ma, al contrario degli scontri della mattina, non abbiamo letto nulla in proposito sulle testate nazionali.

E in più le suddette istituzioni, perdendosi tra (presunti) buoni sentimenti e retorica, sbrodolando sull’arma e scomodando anche i padri costituenti, hanno perso una preziosa occasione per esprimersi sul genocidio in atto in Palestina. In pratica, la notizia non è più stata il padiglione israeliano né l’accanimento di Israele sulla popolazione della striscia di Gaza, ma “i violenti incappucciati e armati, antidemocratici e incoerenti”, come si legge sui social.

Dimenticando quindi di relativizzare l’accaduto in relazione al pesante problema posto dai manifestanti, nel tentativo di non sbilanciarsi – come è giudiziosamente richiesto alle figure istituzionali (anche qui, nessuna novità) – le personalità pubbliche si sono al contrario sbilanciate eccome, approvando gli attacchi della polizia contro manifestanti anche molto giovani e criminalizzandone le azioni concrete, ossia modificare il percorso del corteo per entrare nella zona della fiera, nel tentativo di bloccarne l’entrata. Un’intenzione, quest’ultima, che avrebbe avuto un potente significato simbolico e che racconta un ritrovato entusiasmo delle associazioni e dei collettivi, ripopolati (dopo un’ondata di disinteresse legata, in parte, ai lockdown per l’epidemia di covid) da giovani studenti e ragazzi appassionati e interessati ad avere un ruolo nelle decisioni politiche.

Evitare di deludere e incattivire tutti loro – non solo quelli che sono stati pestati, a volte anche tre contro uno, ma anche tutti quelli che hanno assistito alla scena o sentito la notizia – contro una “democrazia” che impedisce di manifestare, non dovrebbe essere la preoccupazione principale di sindaci ed assessori alle politiche giovanili? Dare una risposta istituzionale che sia educativa per chi ha scelto, con la passione di chi così giovane sceglie di lottare per le idee che ritiene giuste, non dovrebbe prevalere su “ciò che un sindaco dovrebbe dire”?

A quanto pare no; le nuove generazioni vanno scoraggiate con la violenza, ignorate, deluse e, all’occorrenza, criminalizzate. Forse perché non aprire un dialogo tiene vivo il rapporto conflittuale con le forze dell’ordine, e la paura che è alla base del potere stesso di queste ultime. Ma questo è un altro discorso (e di certo non una novità).

Cara Vicenza, anche stavolta non se ne va fuori ma sappi che chi resiste non mancherà mai, neanche “in ‘sta città de rotti in culo, de fassisti e baccalà”.

Alla prossima

Soledad