![Una foro del paesaggio rurale della Bassa Sassonia, in basso a sinistra un bosco](https://kollettivoferramenta.home.blog/wp-content/uploads/2020/11/wp-1605275366879.jpg?w=766)
“Ho sempre amato viaggiare in treno
Ho persino dedicato poesie ai treni, 7-8 anni fa. Ai tempi era un’esperienza abituale, quella di farsi 5-6 ore di treno nel giro di pochi giorni. Ora ci sono meno abituato e riscopro quel sottile piacere dell’ascoltare il treno in corsa, del vedere il paesaggio fuori dal finestrino scorrere via veloce.
Geografia e meteorologia che si rincorrono e scompaiono. Più di tutto, il viaggio in treno è un viaggio nel tempo, è la più semplice macchina del tempo finora costruita.
Oggi, in treno, per la prima volta mi sono reso conto di essere in Germania.
È una strana sensazione, dettata dal vivere a Berlino. Berlino è diversa. Non si esce più di tanto, raramente si vede altro che la città, d’altronde non occorre: basta spostarsi di poco, da un quartiere all’altro, e già la geografia cambia, è persino possibile trovare boschi e laghi in città, tutto a portata di un biglietto AB.
D’altra parte, c’è vita oltre la Ringbahn?
Ed è così che, ammirando i campi infiniti di grano ed orzo della Bassa Sassonia, i boschi e i pascoli tagliati dalla ferrovia in Brandeburgo e in Assia, per la prima volta dal 2015 mi accorgo di essere in Germania.
Complice il libro che sto leggendo, il paesaggio rurale in direzione sud-ovest mi parla di contadini e rivolte, di guerre di religione, di sudore e fango nel freddo di albe invernali; una punta di desolazione nel guardare i paesini persi nelle campagne grigioverdi, nelle stradine alberate di pioppi, luoghi che appaiono disperatamente monotoni e piccoli e che tuttavia raccolgono più vita e calore di quanto si possa immaginare, seduti dietro a un finestrino.
E così mi riassale il pensiero: sono in Germania.
Ripenso all’ultima volta che ero stato in Germania e a quelle precedenti; mi scappa un sorriso al pensiero di stare vivendo nella capitale di uno stato cui quella città non appartiene o non sembra appartenere. L’ironia di una città in cui la lingua tedesca pare comunque un accidente, un caso, in cui mille idiomi si mescolano nelle strade, mentre qui gli alberi, il cielo, i prati, tutto è vergato in fitta Deutsche Sprache, se non addirittura in qualche oscuro dialetto locale, che evoca remoti tempi di fuochi e di riti magici sotto le querce, di una terra dura, selvaggia, forte e madre, che solo un delirio nazionalista poteva voler trasformare in “terra del padre”.
E questa, testarda, resiste, col suo grigio, col suo marrone, coi suoi malinconici colori autunnali a ricordarti che tu sei un ospite e che lei, invece, rimane.”
Ugo Tovil
(da qualche parte in treno tra Berlino e Francoforte)