ALBUM DELLA SETTIMANA

LA LEYENDA DEL TIEMPO — Camarón de la Isla

Spesso succede che i geni non vengano subito capiti dai propri contemporanei.

Per il flamenco uno di questi è stato il gaditano José Monge Cruz, detto Camarón, inizialmente criticato per quest’album sperimentale che introduceva nuovi strumenti al classico quadro formato da chitarra, cante (il canto nel gergo flamenco) e battito delle mani: nuove percussioni, il sitar, il basso elettrico.

Oggi, nel mondo flamenco, il genio pioniere del cantante e compositore è più che riconosciuto: Camarón è adorato (ai suoi funerali erano presenti migliaia di persone), il suo timbro di voce è familiare a chiunque e l’album è ormai un classico, con canzoni come La Tarara e Volando Voy.


La Leyenda del Tiempo– Camarón de la Isla
1979 PolyGram
Flamenco

Soleá

I BISCOTTI DANESI DEL KF

GLI AMERICANI A VICENZA, Goffredo Parise

Bio Goffredo Parise – Vicenza, 1929 – Treviso, 1986
Opera Gli Americani a Vicenza e altri racconti, 1966
Dove Ed. Adelphi, 220 p.

Parise è uno degli inviati dal passato (insieme a Fogazzaro) che ci ricorda che Vicenza è sempre uguale, da sempre.

Ma a lui piace scriverne come quando si racconta un sogno: frammentata in episodi simili a visioni, con particolari sia veri che inventati (ma quali?) e personaggi che spesso portano messaggi ermetici e solenni.

Consigliatissimo insieme alle altre sue opere come Il prete bello o Il ragazzo morto e le comete.

Soledad

Gli ingredienti giusti

I desideri non invecchiano quasi mai con l’età.
– Franco Battiato


La scorsa settimana sono andata a Venezia.

L’ultima volta ci ero stata qualche mese fa, in piena estate, per fare da guida a degli amici in vacanza. Come faccio di solito, li ho portati fuori dalle vie più turistiche – lontano il più possibile da Rialto e San Marco – a vedere i miei angoli preferiti, scoperti vagando durante gli anni di università. Però, pur ripercorrendo tratti di strada a cui sono particolarmente affezionata – campo San Barnaba, San Pantalon, le Zattere – la città mi era sembrata qualcosa di estremamente finto. Una scenografia. Le case di campo Santa Margherita mi sembravano delle sagome di cartone, i fiori alle finestre troppo colorati per essere veri, Venezia intera un carillon che girava in automatico. Ero tornata a casa amareggiata e mi ero detta, è passato troppo tempo, la città è tutta diversa e le notizie sono vere: gli alloggi per turisti hanno superato quelli dei residenti, e si vede. O peggio: ecco, crescendo (invecchiando?) sto perdendo l’entusiasmo per tutto, non mi meraviglia più quello che una volta mi piaceva tanto. E via così.

Senza però neanche il tempo di ripensare a queste cose, qualche giorno fa tornata da scuola sono saltata al volo su un autobus per andare in stazione. Lì come previsto ho incontrato la mia amica M. e da quel momento è iniziato una specie di sogno: tutto quanto era uguale a quando andavamo a lezione, io e lei, con il treno delle 14:02 (ora parte un minuto dopo) a far ridere i vicini di posto con conversazioni fatte solo di imitazioni (sapranno mai come parliamo davvero?), per poi dirigerci verso le sedi di Dorsoduro. L’occasione per il viaggio era la proiezione di un film in un’aula dell’università, e quando siamo arrivate è stata una doccia calda di ricordi, di esaltazione e di malinconia.

Tutte le emozioni sono tornate al loro posto, e l’ho detto a M., che come sempre già sapeva. Ho sbagliato ad andarci in estate. La stagione di Venezia è l’autunno. Con l’aria più fredda, la sera che scende mentre esci dalle aule accaldate, i lampioni pallidi sul cielo blu intenso. Le calli con i graffiti ai tuoi lati quando ti affretti verso la stazione. Le vetrine illuminate con pasticcini o libri colorati che fanno voglia ma costano troppo.

Allora gli edifici sono tornati abitati e tridimensionali, e le pareti di mattoni e salsedine. Per strada la lettrice di russo ci ha riconosciute e ci siamo sentite di nuovo al nostro posto, ancora studentesse, non più annebbiate da una routine frettolosa ma lucide e (con)centrate, con la voglia di ritornare in mezzo a studenti internazionali e pavimenti alla veneziana perché è dove ci piace stare.

Non è passato troppo tempo, le strade sono rimaste intatte insieme a tutti i ricordi e io per fortuna non sono ancora totalmente indifferente – devo solo trovare la perfetta combinazione di elementi.

Posso risvegliare il mio coinvolgimento usando gli ingredienti giusti, che sono gli interessi (quelli che non invecchiano), le circostanze, gli stimoli . Così una proiezione sui Balcani, Venezia in ottobre e un’amica che mi capisce mi suggeriscono la ricetta di un antidoto contro il guscio di passività che invecchiando si inspessisce (per proteggermi, d’accordo, ma l’immaginazione si nutre di instabilità). E saprò sempre in futuro – spero – come schiudermi.

Venezia mi tieni legata, tornerò sempre (prometto), spero non d’estate.