Old Friends/Bookends

Italiano sotto

Can you imagine us years from today
Sharing a park bench quietly?

It takes me a while to reach the bench.
Roman has, unsurprisingly, not showed up yet.

Berlin has changed so much since our youth days. The city where we celebrated our thirtieth birthday has undergone immense changes.
We got here late, already children of the housing crisis. One of my favourite hobbies was helping people move – and Roman provided much much entertainment in that regard.

I’m no stranger to waiting. As Stefano Benni famously said, “La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate” (the life of a punctual person is a hell made of undeserved loneliness). I don’t believe in hell, or heaven for that matter, and I’m not afraid of what comes next, mildly curious more like. But I do think I have built up a sizeable retirement fund of good karma by waiting over the years.

A full troop of sparrows has decided to perch on the lonely branch above my bench. I move a little; already many years ago the birds in this city were louder than anywhere else – you can imagine what other changes the disaster has wrought in the past decades, and I like this shirt.

Many of my Berlin firsts I owe to Roman: the first lake day; the first adventure outside the city (followed by the first deer tick bite and the first visit to the Vivantes hospital in Friedrichshain, such a beautiful brick structure surrounded by the green of the Volkspark Friedrichshain…); the first time I transported a piece of furniture on public transport.
It was a hot August day and I needed a table; Roman’s household had one in the cellar that nobody used. We took it to the station and put it on the Ringbahn. A German lady tried to tell us off, only for us to get more annoyingly Italian at her in our chatting the afternoon away.

My back hurts already at the thought of doing something like that again.

Where can that man be? Tardiness is one thing, a 40 minutes delay is something rather more serious, when you’re no longer young. I’m getting slightly worried, as I always do and have always done throughout my life. But Roman usually does show up, so I allow myself a little faith.

Roman was also the first to take me to a techno club. My friend Anna was visiting and we took the opportunity to try with a low-difficulty club I’ve now been boycotting for years (on top of not being fond of techno music anymore). We heard the place was run by German leftists and we adorned our jackets with Lenin pills (Roman) and a “Refugees welcome” sticker in Arabic (I) to enhance our chances to get in.
Anna didn’t need such help – this just goes to show how good looks are always a factor, no matter how radical the place. (And this place has let us down so badly in the years that followed those first ventures…)

We both survived the pandemic, hiding in our apartments and visiting each other as much as we could, over the weekends. Late night chats that sometimes became sleepovers, that was the city’s pastime back then. We kept each other company, despite rules and regulations – despite our very different outlooks on the whole situation and the political solutions brought forward. Sharing until late night a beer, a cider, or a wine, discussing politics, music, and heartbreak.
Almost like one of those cheesy American movies about young adults pouring their heart out to each other on a New York roofotop. Only, inside an anonymous flat on a cold, grey night, in Lichtenberg.

I’m dozing off now…I’m sure he’ll be here soon. He promised. The sun is quite nice, for a change. The air smells sweet. He won’t be long. He never is, in the grand scheme of things. He’ll join me on this bench, and we’ll yell at the youngsters, like when we used to mock high schoolers running in the park in the days before we started university. We’ll discuss some war or some political event. He’ll curse again the name of a long-forgotten German Healthcare minister. I’ll get pissy about the current state of affairs. I think I hear him now…
We’ll yell at some young punk…in this warm little corner of Berlin.

Time it was,
And what a time it was
It was . . .
A time of innocence
A time of confidences
(Simon & Garfunkel, Old Friends/Bookends)


Can you imagine us years from today
Sharing a park bench quietly?

Ci metto un po’ a raggiungere la panchina.
Roman, come previsto, non è ancora arrivato.

Berlino è cambiata molto dai tempi della nostra giovinezza. La città in cui abbiamo celebrato i nostri trent’anni è cambiata radicalmente.
Noi siamo arrivati tardi, già figli della crisi immobiliare. Uno dei miei hobby preferiti era aiutare gli amici nei traslochi; Roman sotto quest’aspetto è sempre stato uno spasso.

Sono abituato ad aspettare. Come disse Stefano Benni, “La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate”. Io all’inferno non ci credo, neppure al paradiso se per quello, e non ho paura di ciò che mi attende dopo, anzi, ho un po’ di curiosità. Ma di sicuro ho messo via un bel fondo pensionistico di buon karma a furia di aspettare negli anni.

Una truppa di passerotti si è piazzata sul solitario ramo sopra la mia panchina. Mi sposto un po’. Già anni fa gli uccelli di questa città cinguettavano a un volume più alto di qualsiasi altra capitale. Posso solo immaginare che altri cambiamenti abbia apportato il disastro in questi ultimi decenni, e poi questa camicia mi piace.

Devo a Roman molte delle mie prime esperienze a Berlino: la prima giornata al lago; la prima avventura fuori città (con conseguente prima zecca e prima visita all’ospedale Vivantes, una splendida struttura in mattoni circondata dal verde del Volkspark Friedrichshain); la prima volta che ho trasportato un mobile su un mezzo pubblico.
Era una calda giornata d’agosto e io avevo bisogno di un tavolo; a casa di Roman ce n’era uno in cantina che nessuno usava. Lo portammo in stazione e caricammo sulla Ringbahn. Una signora tedesca tentò di rimproverarci; noi ci vendicammo alzando il volume delle nostre chiacchiere in italiano mentre attendevamo arrivasse la nostra fermata.

Mi fa male la schiena soltanto a pensare di rifare una cosa del genere.

Dove si sarà cacciato? Un conto è essere ritardatari, 40 minuti di ritardo è un affare ben più serio, quando non si è più giovani. Inizio a preoccuparmi un po’, come ho sempre fatto e sempre farò nella mia vita. Ma Roman di solito alla fine compare, quindi mi concedo di avere un po’ di fede in lui.

Roman mi portò per la prima volta in un club techno. La mia amica Anna era in visita e cogliemmo l’occasione di provare ad entrare in un locale a bassa difficoltà, che ora boicotto da anni (oltre ad aver smesso di apprezzare la techno). Avevamo saputo che il posto era gestito da gente di sinistra tedesca e perciò avevamo adornato le giacche con una spilletta di Lenin (Roman) e un adesivo che diceva in arabo “Refugees welcome” (io) per aumentare le nostre chance di entrare.
Anna non ebbe bisogno di simili sotterfugi – a riprova che il look giusto ti spalanca qualsiasi porta, non importa quanto il contesto sia radicale (e questo posto ci deluse amaramente negli anni che seguirono…)

Siamo sopravvissuti alla pandemia, rintanandoci nei nostri appartamenti e facendoci visita a vicenda quanto più possibile, di solito nei weekend. Le chiacchierate diventavano a volte delle nottate intere, un passatempo comune in città a quei tempi. Ci tenevamo compagnia nonostante regole e decreti, e nonostante opinioni molto divergenti sulla situazione in generale e sulle risposte politiche. Fino a tarda notte con una birra, un sidro, un vino, a discutere di politica, di musica, di cuori infranti.
Quasi come quei filmetti americani in cui i giovani si incontrano, si scontrano e si sfogano al chiaro di luna sul tetto di un condominio di New York. Solo che noi eravamo dentro un anonimo appartamento in una fredda, grigia notte a Lichtenberg.

Sto prendendo sonno…sono sicuro arriverà presto. Me l’ha promesso. Si sta bene al sole, per una volta tanto. L’aria è dolce e profumata. Non ci metterà ancora molto. Non ci mette mai troppo, nel complesso. Mi raggiungerà su questa panchina e urleremo dietro ai giovinastri, come quando prendevamo in giro gli studenti che correvano al parco mentre noi aspettavamo di iniziare l’università. Ci metteremo a discutere di qualche guerra o di qualche evento politico. Lui maledirà ancora una volta il nome di un ministro della salute tedesco da tempo sepolto dalla storia. Io mi irriterò pensando a come va il mondo. Mi sembra di sentirlo arrivare…
Rimprovereremo qualche teppistello…in questo caldo cantuccio di Berlino.

Time it was,
And what a time it was
It was . . .
A time of innocence
A time of confidences

(Simon & Garfunkel, Old Friends/Bookends)

Insegnare non è cOoL

Abbiamo sete di sapere, vogliamo bere
Ce ne faremo un mestiere, perché sapere è potere

Assalti Frontali, Cattivi maestri

Generalmente – nei video comici che girano sui social, ad esempio, o nei discorsi superficiali al bar o alla cena di Natale – la categoria degli insegnanti è percepita come un blocco unico caratterizzato da passività, da un’ottusa perpetuazione di regole, nozioni, linguaggi e modalità imposte dall’alto e dalla conseguente cecità davanti ai problemi dei singoli alunni o alle necessità della società contemporanea.
Però, se si prova a chiedere a chiunque di ripensare, tra tutti gli insegnanti che ha avuto, a qualcuno che abbia lasciato un ricordo profondo e un’impronta nella sua vita, ne nominerà sicuramente uno o più. Spesso l’influenza di quella personalità, quel modo di insegnare o le scoperte fatte grazie a quell’insegnante continua nell’età adulta, e ripensarci non rimanda che a sensazioni piacevoli e alla consapevolezza di essere diventati chi si è anche grazie al contributo di quella persona.
Si delinea quindi immediatamente non più un blocco cieco e senza pietà di insegnanti da contraddire e deridere, ma una galassia di esperienze diverse, non prive di senso ed episodi formativi importanti.

Ok fine del pippone, mi serviva da introduzione a quello che in realtà volevo dire.

La questione è, ci interessa cercare di cambiare la rappresentazione della categoria degli insegnanti? Riconoscerne il ruolo chiave e la dignità, professionalmente e umanamente – dato che in questo lavoro le due cose vanno necessariamente insieme?
Secondo gli Assalti Frontali sì, e molte loro canzoni da un certo momento della loro storia in poi riguardano la scuola e il suo superpotere, quello di insegnare alle giovani menti gli strumenti per formarsi e andare nel mondo in modo autonomo e consapevole.
Un paio di mesi fa, durante un loro concerto in un paesino sperduto della campagna veneziana (ma con un festival con i controcazzi), con il loro parlare di scuola con grande rispetto e amore sono riusciti a commuovermi (ok è stata anche la sindrome premestruale, ma non importa), perché senza saperlo, in quel momento avevo un grande bisogno di discorsi del genere verso il mio lavoro.
Volenti o nolenti, insegnare non è solo una prestazione da svolgere; se fatto bene è anche una missione, e chi se ne fa carico ha bisogno di motivazione tanto quanto gli alunni che stanno dietro ai banchi.
E quindi la sera del concerto ha inaspettatamente scatenato delle riflessioni perché, anche se apparentemente non ci stavo pensando più, qualche giorno prima ero stata a un grande evento formativo per neoassunti delle scuole superiori, ossia professori e professoresse perlopiù giovani, anche se non del tutto inesperti. Per via della rarità di concorsi per entrare in ruolo, infatti, la maggior parte dei partecipanti aveva già alle spalle diversi anni di insegnamento; proprio per questo io e altri colleghi siamo rimasti molto delusi dalle scelte dei formatori per quell’incontro che chiudeva un anno di preparazione al ruolo. Per lanciarci verso l’inizio di una lunga carriera, hanno infatti deciso di focalizzarsi sui rischi del mestiere, sulle insidie dei comportamenti troppo amichevoli con gli alunni o del nostro modo di rivolgerci a loro, con aneddoti al limite del “non si può più dire niente”, arrivando anche a sconsigliarci vivamente – e in qualsiasi caso – di entare in contatto fisico con i nostri alunni, neanche per un abbraccio consolatore in caso di crisi, cosa che ahimè succede spesso.
Posto che purtroppo moltissimi, soprattutto le ragazze, possono citare almeno un professore che durante il loro percorso scolastico ha avuto atteggiamenti assolutamente non professionali se non propriamente maschilisti o addirittura pedofili, ad un evento del genere avrei trovato molto più incoraggiante ricevere fiducia e ascoltare aneddoti luminosi della vita degli insegnanti; di certo non ci aspettavamo minacce velate e sospetto verso la nostra professionalità.

Pochi giorni dopo, al concerto, ho trovato finalmente nelle parole di Militant A quello che i colleghi formatori non avevano avuto il coraggio di comunicarci: il fatto, cioè, di credere fortemente nella scuola e in particolare nell’azione degli insegnanti, tutti diversi – per fortuna! – ma con gli stessi princìpi quali l’attenzione e la cura verso il percorso personale di ogni alunno, la volontà di stimolare la crescita dei ragazzi invece di dettarla, la partecipazione attiva al processo di insegnamento-apprendimento. Per non parlare del contatto col territorio e il profondo ancorarsi alla realtà contemporanea. Per fare questo ha deciso di cantarci un pezzo dedicato al ricordo di Simonetta Salacone, ex dirigente di una scuola romana da lei rivoluzionata a partire dai concetti di inclusione e comunità; una storia d’ispirazione e di legittimazione per chi fa questo lavoro (per approfondire clicca qui).
Tutto il contrario, quindi, dell’immagine del tipico insegnante che vediamo attraverso i media più popolari e che ci può anche far sorridere, ma che a pensarci più a fondo non fa che dare eco a una generalizzazione superficiale e inverosimile, in cui chi insegna non si riconosce affatto.

– Soledad

Mon ami Donnie Darko

L’estate dei film

La mia prima vera estate di autonomia è stata quella tra la fine delle medie e l’inizio delle superiori. Avevo tanto tempo, due amiche con lo stesso nome e una vecchia bicicletta bianca. Ci salivo la mattina e tornavo la sera, con in borsa solo gli occhiali da sole (quelli che con G. e G. avevamo tutte e tre uguali, ma di colori diversi), l’i-pod da ascoltare in due, con una cuffietta a testa e il telefono che tanto non avremmo usato.

Quell’estate G. – quella alta, eccentrica e con la battuta sempre pronta – ha fatto una proposta che ci avrebbe cambiato la vita: guardare un film nuovo ogni giorno. E così abbiamo iniziato, e non ricordo tutti i titoli né per quanto tempo abbiamo resistito, ma ricordo l’obbligatoria tappa al Blockbuster per noleggiare i DVD e comprare i popcorn e il salotto moderno e luminoso di G. in cui ci sedevamo sul tappeto, davanti alla TV.

È stata l’estate del mio primo film horror, che mi ha terrorizzato per anni fino al momento in cui, un paio d’anni fa, ho deciso di riguardarlo per esorcizzarlo e ho scoperto che non faceva più paura (peccato).

È stata l’estate di Gus Van Sant e Donnie Darko, per noi ex emo bullizzate che cercavamo un’identità (trovando un certo conforto) in libri, film e serie disturbanti che hanno alterato per sempre i nostri neuroni.

Non le amiche, ma questo bagaglio emotivo, più gli enormi occhiali bianchi e le converse scarabocchiate a penna, sono quello che mi rimane di quei mesi da quando Blockbuster ha chiuso e abbiamo smesso di passare i pomeriggi sedute sulla staccionata dello skate-park.
Grazie G. per i film e per tutte le avventure!

E dall’ansia del tempo che passa è tutto,

Soledad

Paranoid Park, Gus Van Sant (2007)
Donnie Darko, Richard Kelly (2001)
The Orphanage, Juan Antonio Bayona (2007)

OROSKOPO – Aprile

Attenzione: questa rubrica usa il femminile e il maschile universale in maniera intercambiabile

Ariete – La cura degli altri
Com’è difficile per voi stare ferme! Sembra che questo stagnamento potrebbe durare ancora qualche tempo: forse non siete pronte a mettervi davvero in gioco per quello che volete, e avete paura che sarebbe un sacrificio inutile. Penso che in un certo senso questi timori siano fondati: ancora non è il momento di esporsi e di mettere in gioco le vostre energie, che per il vostro segno sono così fondanti. In questo momento faticate a prendervi cura di voi stessi, e quindi cosa c’è di meglio di prendersi cura degli altri? Coltivate la vostra dolcezza e sensibilità verso il mondo esterno, perché in questo momento è il modo migliore per ritrovare la determinazione che vi è così cara. Ne uscirete più potenti e determinate

Aries – the care of others
How difficult it is for you to stay still! It seems like this stagnation could last a little longer: maybe you’re not ready to put yourself out there to get what you really want, and you’re scared it might turn out to be an unnecessary sacrifice. I think these fears may be somehow founded: it’s not yet the moment to expose yourself and throw your energy into the arena, energy that is so fundamental for your sign. At the moment, you struggle with taking care of yourself; so what better idea than taking care of others? Cultivate your sweetness and sensitivity towards the outside world; this is currently the best way to find again the determination that is so important for you. You’ll come out stronger and more determined

Toro – Un giogo pesante
Chi più di questo segno può capire cosa significa essere sotto giogo? Sembra che la vostra routine e i vostri metodi così finemente affilati negli anni, non siano più in grado di rispondere alle vostre necessità e siano ormai diventati una lama smussata. Dovreste chiedervi: cosa continuo a fare sperando che cambi il risultato? Quali azioni ripeto per abitudine e non desiderio? Sapete anche voi che questo circolo va spezzato e serve dare un taglio. Forse girare le spalle a quello che osservate sempre così attentamente vi permetterà di vedere oltre le mura. Vi consiglio di raccogliere questa scommessa

Taurus – A heavy yoke
Who better than this sign can understand what it feels like to be under a yoke? It seems like your routine and your methods have become so finely sharp during the years, that they have stopped serving your necessities and have turned into a blunt blade. You should ask yourself: what do I keep on doing hoping the result will change? What actions do I repeat out of habit and not desire? You know it too, this cycle needs to be broken and stopped. Maybe turning your back on what you usually look at so closely will allow you to peek over the walls. I recommend you take up this bet

Gemelli – L’unione dei contrari
C’è aria di cambiamento. Sembra che il cambio di stagione vi stia caricando le batterie: che fortuna per chi vi sta intorno (e per i vostri amanti)! Sembra un ottimo momento per conciliare energie opposte: il vostro fascino è alle stelle e sarete persino più irresistibili del solito. Fate attenzione però: l’equilibrio è armonioso ma non privo di complicazioni. Non perdetevi in voi stesse e state attente a non nutrire troppo il vostro ego. Sta agli altri riconoscere i vostri talenti, non a voi mostrarli

Gemini – A union of opposites
There’s change in the air. It seems like the change of season is recharging you: what good luck for those around you (and your lovers!) It seems like a great moment to reconcile opposing energies: your charm is off the charts and you’ll be even more irresistible than usual. Be careful, though: the balance is harmonious, but not without complications. Don’t get lost in yourself and be careful not to overfeed your ego. It’s up to others to recognize your talents, not to you to show them

Cancro – Una scelta di confine
È un momento di duro lavoro: ciò che avete seminato in passato sta iniziando a dare i suoi frutti, nel bene e e nel male. Cosa avete imparato? Cosa avete lasciato indietro? È un buon momento per riflettere sui modi in cui siete cambiate negli ultimi mesi, cosa sia intimamente diverso in voi ora che prima era più ingenuo, o immaturo. Queste considerazioni vi saranno utili nelle prossime settimane: vi troverete davanti a una scelta tra due persone, e almeno una di loro potrebbe essere voi stessi. Fate tesoro dei vostri nuovi confini, e delle vostre nuove affilature

Cancer – A choice on the edge
It’s a moment of hard toil: what you’ve sown in the past is starting to bear fruit, for good or for bad. What have you learnt so far? What did you leave behind? It’s a good moment to think back on how you’ve changed in the past months, what is intimately different about you that was more naive or immature before. These considerations will be of use in the coming weeks: you’ll be faced with a choice between two people and one of them might even be yourself. Treasure your newfound boundaries and your new sharpness

Leone – Una chioccia che cova
Le prossime settimane care Leone saranno perfette per operare un cambio di prospettiva. Un ciclo di scoperta e di studio sta volgendo al termine, come anche l’isolamento che ne deriva. State acquisendo nuove esperienze e nuovi strumenti. Non fatevi cogliere impreparati dai tempi che diventano maturi per la vostra realizzazione: dovrete essere in grado di leggere i segnali e preparare il mondo al ricevere il vostro potere. L’accrescimento di conoscenza che avete attraversato vi sarà ora utile per incarnare le caratteristiche di una leader, ma a una condizione: che la vostra autorità sia fondata sulla giustizia e sulla compassione, solida e stabile come una gallina su un uovo

Leo – Like a brooding hen
Dear Leo, the next weeks will be perfect to change your perspective. A cycle of discovery and study is now ending, as well as the isolation that came with it. You’re acquiring new tools and making new experiences. Don’t let yourself be found unprepared by the times, as they become ripe for your self-realization: you should be able to read the signs and prepare the world to witness your power. The increase in knowledge will help you to inhabit the traits of a leader, but at one condition: that your authority is founded on justice and compassion, solid and stable, like a hen brooding an egg

Vergine – I segreti come…
Tutti abbiamo dei segreti. Per alcuni di noi i segreti sono come i semi, piccole sciocchezze innocue che si conservano a lungo e che se ben piantati possono dare i loro frutti, dolci o velenosi che siano. Per altri i segreti sono come sassi, alcuni grandi e altri piccoli, tutti molto duri, con cui si costruiscono muri e pozzi, ma anche case e strade. Per altri ancora sono come onde del mare, tutte piuttosto grandi, salate, e col potere di rilassarci o spaventarci. Ci sono tanti tipi di segreti, e i segreti degli altri ci sembrano enigmi. Non so cosa siano per te i segreti cara Vergine, ma il mio consiglio per le prossime settimane è di evitare di crearne di nuovi e tenersene lontano. Potresti non essere pronto

Virgo – Secrets are like…
We all have secrets. To some of us, secrets are like seeds, little bits of nonsense that can last long and – if well sown – can bear fruits, either sweet or poisonous. To others, secrets are like rocks, small or big, all very hard, with which to build walls and wells, but also roads and houses. To others, they’re even like waves in the sea, all quite tall, salty, and capable to relax us or scare us. There are many different types of secrets and the secrets of others sound like enigmas to us. I don’t know what secrets look like to you, dear Virgo, but my advice for the coming weeks is to stay clear of them and avoid creating new ones. You might not be ready

Bilancia – Inebri-azioni
Le prossime settimane presenteranno un’ottima occasione per raggiungere un obiettivo importante che vi siete posti. Avete tutte le carte in regola per concretizzare una vostra idea, e per convincere altre persone a seguirvi. Se non avete un obiettivo, vi consiglio di ascoltare il vostro desiderio e farvelo suggerire da lui. Se il vostro desiderio si mostra indeciso o incerto, fate così: scegliete una bella giornata di sole, andate al parco o in centro e fatevi avvolgere dalla primavera. Sono sicuro che saprete inebriarvi

Libra – Inebri-actions
The coming weeks will be a perfect occasion to reach an important goal you’ve set for yourself. You have all it takes to make an idea become true and to convince other people to follow you. If you don’t have a goal, I suggest you listen to your desires and let them suggest one. If your desire appears indecisive or uncertain, just choose a nice, sunny day, go to the park and let the spring engulf you. I’m sure you’ll be inebriated

Scorpione – Un incontro
Nelle prossime settimane avrete la capacità di attirare a voi una persona che sarà in grado di farvi superare un limite che vi siete date, o una soglia che non avete mai osato attraversare. Dovrete cercare queste caratteristiche: bellezza, seduttività, giovinezza, ambizione. Ma state attenti: dall’altro lato potreste essere visti come uno strumento, e non come una possibilità di incontro. Che non sia proprio questo il punto?

Scorpio – An encounter
In the next few weeks, you’ll be able to attract someone who will allow you to overcome a limit that you’ve set for yourself, or to cross a threshold you’ve never dared to cross before. You should look for these characteristics: beauty, seduction, youth, ambition. Be careful, though: the other side could take you for an instrument, rather than a chance for a meeting. What if this is the whole point?

Sagittario – Il lungo inverno

Che lungo inverno che è stato. Naturalmente non mi riferisco a quello atmosferico (dannato riscaldamento globale!), quanto piuttosto al momento in cui vi trovate. Avete studiato? Siete stati single a lungo? Avete deciso di andare in India a trovare voi stesse? Non posso saperlo, non sono vostra madre, ma solo un umile lettore del presente. Qualsiasi cosa avete fatto sembra abbia funzionato, per merito o per fortuna. Continuate sulla strada che avete illuminato a fatica senza guardarvi indietro. Ve lo meritate

Sagittarius – The long winter

What a long winter it was. I’m not talking of the atmospheric one (damn global warming!), but rather of the moment you currently find yourself in. Did you study? Have you long been single? Did you decide to go to India to find yourself? I don’t know, I’m not your mother, just a humble reader of the present. Whatever you did, it looks like it worked, by chance or by merit. Keep on the path you’ve lit with great effort without ever looking back. You deserve it

Capricorno – Una prova della sete

Nonostante aspettare non sia il vostro forte, l’autocritica e l’accrescimento delle proprie competenze sembrano essere più nelle vostre corde. Sembra però che abbiate studiato un po’ troppo, che abbiate accumulato un po’ troppe competenze, e che vi siate dimenticate di vivere la vita. Se vi sentite rinsecchite e un po’ frustrati deve essere per questo. Urge un intervento esterno, ma sembra che dovrete aspettare ancora un po’ per un vero cambiamento. Vedetelo come una ennesima messa alla prova

Capricorn – The trial of thirst
Waiting is not your forte, but self-criticism and developing your competencies seem to be more your thing. Though, it seems as if you’ve studied a bit too much and gained too many competencies, all the while forgetting to live your life. If you feel dried up and frustrated, it could be because of this. This calls for an external intervention, but it might be that you’ll have to wait a bit longer for a real change. Look at it as just another trial on your path

Aquario – La catena e la malizia
Sembra che in un qualche modo siate riuscite a domarvi. Provenite da un periodo di controllo e dominio su voi stessi: avete quasi perso la testa, ma sembra che siate riuscite a controllarvi. Ma non temete: questo periodo di controllo presto finirà, volenti o nolenti, per lasciare spazio a una nuova corrente di energia creativa e maliziosa. Conoscete bene questa energia, che più di tutte vi appartiene. La sfida per voi sarà modulare la libertà che avete trovato nel presente all’interno di questo stimolo, che così bene conoscete, e così ripetitivi vi fa essere alle volte

Aquarius – Chained and naughty
It looks like somehow you managed to tame yourselves. You’re coming from a period in which you had control and dominion over yourself: you almost lost your mind, but it looks like you can control yourself. Don’t worry: this period of self-control will end, whether you want it or not, and will give way to a new flow of creative and naughty energy. You know this energy well, as it’s the one that most belongs to you. The challenge now is to modulate the freedom you’re finding inside this stimulus, which you know well, and which makes you also be very repetitive at times

Pesci – Il ballo del desiderio
Il vostro desiderio vi chiama, e vi chiede di renderlo reale. Avete trovato quell’ultimo pezzetto di puzzle che tanto avete cercato, manca solo da metterlo al suo giusto posto. Qualcuno direbbe che è stato un parto, e lo avete fatto da soli. È stata una gestazione difficile, ma l’avete portata a termine. Non abbiate paura di lanciare questa idea nel mondo, permetterle di ballare e cantare e forse farsi male. Vi meritate un po’ di riposo

Pisces – The dance of desire
Your desire calls to you, asking to be made real. You found that last piece of the jigsaw puzzle you had looked for for so long, it just needs to be put in its place. Someone would say it was hard labor, and you’ve made it by yourself alone. A difficult gestation, but you made it through. Don’t be scared to let it into the world, allow it to sing and dance, and maybe even get hurt. You deserve some rest

MILLE PAPAVERI ROSSI

MILLE PAPAVERI ROSSI

MILLE PAPAVERI ROSSI è un’iniziativa nata da un’idea di Soledad.

MPR è un tentativo di riportare il nostro sguardo su quegli angoli abbandonati o morti delle nostre città e reclamarli attraverso macchie inaspettate di colore. Una testimonianza del potere della vita e della bellezza in questi tempi di disperazione e grigiore.

Operativamente, si tratta di un’operazione di guerrilla gardening a basso impatto: scegli un luogo abbandonato, morto od ostile della tua città, prendi dei semi di papavero, piantali, fai una foto e inviaci la posizione per aggiungerla alla nostra mappa dei luoghi raggiunti dall’iniziativa – nel periodo della fioritura ci occuperemo noi di andare a documentare il risultato (nella speranza di una bella fioritura).

PERCHE’ I PAPAVERI
Lungi da noi l’associazione con commemorazioni belliche (tipo il Remembrance Day inglese), la scelta del papavero nasce dall’idea di un fiore povero ma resistente, che cresce nonostante le avversità, che fiorisce NONOSTANTE e non grazie al sangue versato sui campi di battaglia; così, allo stesso modo, vogliamo farlo crescere sui campi di battaglia delle nostre città per trasformarli in luoghi di effimera bellezza, in un colpo di colore che attragga lo sguardo verso il grigiore del cemento o il verdognolo malato delle nostre comunità urbane soffocate da un sistema sempre più pervasivo e totalizzante.
Ispirati dalla canzone “La guerra di Piero”, noi stiamo dalla parte dei rivi che preferiremmo pieni di lucci argentati, e dai campi di papaveri al posto dei campi minati e dal filo spinato; dalla parte del colore contro il grigiore e i neon che ci vengono imposti da questa società del divertimento ad ogni costo, del consumo sfrenato, della frenesia ineluttabile del “produci consuma crepa”.

COME FUNZIONA
I nostri membri si trovano in varie città (Vicenza, Berlino, Padova, Bologna, Dublino) – puoi contattarci su Instagram e farci sapere dove ti trovi e venire assieme a noi a spargere i semi; oppure puoi farlo autonomamente, acquistando dei semi di papavero e piantandoli dove preferisci.
Tutto quello che ti chiediamo è di:

  • mandarci una foto del luogo prima della semina
  • una posizione e indicazioni chiare su dove sono stati seminati i fiori – così potremo aggiornare la mappa dei luoghi
  • non includere foto di te stess* – specialmente se i luoghi non sono pubblicamente accessibili
    L’idea è di attirare un po’ di attenzione, non repressione.

Il 25 aprile raccoglieremo le foto e le mappe e le pubblicheremo attraverso i nostri canali – la tua identità non verrà divulgata (a meno di specifica richiesta). Quando sarà ora della fioritura (tra giugno e luglio) andremo a visitare i luoghi scelti e documenteremo il successo (o insuccesso) della fioritura.

La semina dovrebbe avvenire indicativamente da adesso fino a metà aprile, per essere sicuri che i fiori abbiano tempo di crescere e fiorire.
Altrimenti, sei ne hai la voglia e la possibilità, fai germogliare a casa i semi e pianta direttamente a terra le piantine, una volta alte una decina di cm.

Per suggerimenti, critiche o indicazioni – contattateci via Instagram.


A THOUSAND RED FLOWERS

A THOUSAND RED FLOWERS is an initiative born from an intuition by Soledad.

TRF is the attempt to redirect our gaze towards the abandoned or dead corners of our cities and to reclaim them via unexpected spots of colour. Testifying thus the power of life and beauty in these grey and desperate times.

This is an operatively low-impact guerrilla gardening action: choose an abandoned, dead or hostile place in your city, plant some poppy seeds, take a picture and send us the location. We’ll add it to the map of the places reached by the initiative – when it’s time, we’ll go and document the result (hoping it bloomed well).

WHY POPPIES
Despite its association with war commemorations (like the English Remembrance Day), we chose the poppy as it’s a poor yet resistant flower, which grows against all odds, blooming despite and not thanks to the blood shed on the battlefields. In the same way, we want to see it grow on the battlefields of our cities to turn them into places of ephemeral beauty, a stroke of colour that might attract our gaze towards the grey of the concrete or the sickly green of our urban communities, which are being suffocated by an ever-increasingly pervasive and totalising system.
Inspired by the song “La Guerra di Piero” (Piero’s War), we’re on the side of the rivers, which we’d rather see full of silvery fish; and on the side of the fields of poppies, instead of the mine fields and the barbed wire. On the side of colour, against the grey and the neon lights imposed on us by the entertainment society, of the senseless consumption, of the frantic imperative: “produce – consume – die”.

HOW DOES IT WORK
Our members can be found in different cities (Vicenza, Berlin, Stuttgart, Padua, Bologna…) – you can reach out to us via Instagram, let us where you are and come with us to spread the seeds; or you can do it on your own, buy your own seeds and plant them wherever you like.
All we ask you is to:

  • send us a picture of the location before the planting
  • a position and clear instructions on whre the flowers have been planted – in order to update our map
  • don’t include pics of yourself – especially if the location is not publicly accessible
    The idea is to attract attention, not repression.

On April 25th we’ll collect the pictures and the maps and publish them on our channels. Your identity will not be divulged (unless you specifically request it). When it’s time for the flowers to bloom (between June and July), we’ll visit the locations and document the result of the initiative.

The sowing should happen by mid-April to make sure that the flowers have time to bloom.
Otherwise you can also plant the seeds at home and transfer the plants in the ground when they are around 10 cms tall.

For suggestions, criticism or questions – contact us on Instagram.

[Verosimile.]

(perché non sai mai cosa ti possa succedere)

Tiro su la cerniera dell’impermeabile nuovo, quello grosso da pescatore che ho trovato finalmente l’altro giorno all’usato, dopo mesi di ricerca. Mi è un po’ grande ma tanto meglio, mi copre anche le ginocchia e i polpacci che mi si inzuppano sempre. È giallo come il cielo, una coperta di nuvole di cui non si distinguono i contorni. La solita cappa insomma, che si riflette sulle pozzanghere e sui campi di riso mettendo un filtro biancastro sul paesaggio.

Piove da tre giorni dopo sei mesi senza una goccia, la terra era una crosta talmente dura che per le prime 12 ore di temporale l’acqua è scivolata direttamente nei fossi e nei canali riempiendo già da subito i bacini d’emergenza. Poi il temporale è girato in pioggia, tiepida e monotona.

Mollo la tendina della finestra, esco di casa e prendo la macchina, completamente ammaccata dalla grandine come tutte le altre. L’ultima tempesta mi ha fatto saltare uno specchietto; andrò dal carrozziere per vedere se riesce a sistemarmelo entro stasera.

È un giorno di lavoro ma sono solo le dieci del mattino, ho ancora qualche ora prima di entrare a scuola quindi mi avvio per qualche commissione, guidando sulla strada leggermente rialzata al di sopra dei campi allagati e dei bacini di conservazione idrica. Un airone cinerino guarda le poche auto che circolano: i dintorni della città sono poco trafficati da quando hanno eliminato tutte le corriere e i bus di linea, dopo la nuova linea di tram e i convitti in ogni scuola. Mi ricordo ancora le infinite discussioni e le proteste delle famiglie, sarà stato il 2028…

Faccio il giro esterno del centro per tornare al negozio dell’usato, allestito in un hangar della vecchia caserma americana, uno degli edifici rimasti agibili dopo l’abbandono e l’incendio. Mentre entro con l’auto da quella che una volta era l’entrata principale guardo i pezzi accartocciati del cancello, ancora appesi ai cardini in modo precario, e le bandiere incrociate delle insegne, dipinte di nero e rosso con la bomboletta spray.

Al magazzino trovo un nuovo bidone per l’acqua piovana, un maglioncino di cotone (quelli di lana ormai non li uso più, neanche a gennaio) e un pannello solare 50×50. Esco soddisfatta e avviandomi al lavoro costeggio la muraglia della caserma, crollata in alcuni punti e ancora macchiata di fuliggine.

Imbocco il ponte che porta in centro scavalcando il quartiere trasformato, negli ultimi anni, in bacino di sfogo dei due fiumi durante le piene e di raccolta d’acqua per le siccità. Dall’alto osservo i muri ammuffiti dello stadio, che spunta per metà dall’acqua come il campanile di Curon, il paesino sommerso in Val Venosta. I locali abbandonati dell’edificio – raggiungibili dalla strada attraverso passerelle e ballatoi pieni di vasi di piante e di rampicanti – sono occupati dai centri sociali della città da quando alcune loro sedi sono state demolite per la costruzione del treno ad alta velocità (che ad oggi è ancora fermo a Marghera per via degli allagamenti). I muri esterni dello stadio sono coperti di graffiti fino al pelo dell’acqua, su cui spesso si vede scivolare un barchino giallo dalla vernice scrostata, che fa avanti e indietro dalla riva quando si organizza qualche evento. D’estate non è male perché la sera proiettano dei film sugli spalti e l’acqua rinfresca un po’ l’aria (non ci sono tante zanzare perché rane, carpe e pipistrelli le tengono a bada, e non c’è neanche troppa puzza). Sotto di me, non lontano sento il rumore di un treno che passa.

Ha smesso di piovere. Le poche persone in giro hanno ancora i cappucci rinforzati calati sulla fronte, ma ora di grandine non ne scenderà più. Per qualche giorno o per altri sei mesi, non sappiamo prevederlo.

Soledad

NOTA SULLE IMMAGINI:

Alcune sono false, altre, purtroppo, sono vere.

Vicenza impossibile

Queste piccole città venete, dunque, senza importanza, sorte a mezza strada tra il mare
e i granducati dell’interno, chiuse da campi e colline dove la nebbia bassa e di un colore stinto confonde e intorbida paesaggi e pensieri, vivono di una vita propria,
ai margini della storia degli uomini e del Paese.


Goffredo Parise, Il prete bello (1954)

“Dopo la giornata di mobilitazione del 6 ottobre, [il] pomeriggio [di] sabato 7 ottobre il Coordinamento studentesco e Fridays for Future Vicenza hanno occupato lo stabile dell’ex caserma della Guardia di Finanza in contra’ Mure della Rocchetta, in centro storico, di proprietà comunale e in stato di abbandono da decenni” (Vez News, 7/10/2023), dove si è svolta una serata di musica e festa piuttosto ben riuscita prima che l’occupazione fosse sgomberata, a mezzanotte. Un’idea abbastanza coraggiosa per una città come Vicenza, non particolarmente nota per occupazioni e scontri ma nella quale uno zoccolo duro abbastanza tenace resiste da decenni a continue delusioni.

Vez News

Un atto che però ha avuto il difetto di non dare il via ad un’azione più ampia e programmata, ma di essere una piccola provocazione iniziata e terminata nel giro di 12 ore senza lasciare tracce. È probabile che questo gesto non avrà la risonanza sufficiente ad accelerare davvero i processi di ristrutturazione della ex caserma o di qualsiasi altro edificio vicentino abbandonato. Infatti, nonostante molti di essi – tra cui l’ex guardia di finanza – abbiano già da quasi un anno ottenuto i fondi per attuare dei progetti di recupero (soprattutto case popolari), in nessuno dei siti si è visto il minimo segno di rinnovamento.

Eppure la questione della speculazione edilizia e del consumo di suolo a Vicenza è molto urgente: in media, dal 2019 ad oggi, è stato costruito da zero un nuovo supermercato all’anno (di cui uno, il Famila di via Torino, è già chiuso dopo solo due anni di attività) e ovunque, in città e nei paesi limitrofi, si vedono costruire complessi residenziali nuovi di zecca che restano poi sfitti per anni. Per non parlare di ecomostri come il complesso di Borgo Berga, la base militare statunitense Dal Din e il treno ad alta velocità, per i quali Vicenza è quasi stata esclusa dal patrimonio Unesco, oltre a subire tutti i rischi, in primis quelli idrogeologici, legati alla cementificazione.

I vecchi edifici da rivalorizzare vengono invece ignorati, se non a parole, sicuramente nei fatti. Parlo, oltre che dell’ex guardia di finanza, del vecchio macello di Vicenza, in origine un palazzo palladiano ma, dopo numerosi abbandoni e ristrutturazioni, ormai completamente irrecuperabile (il Giornale di Vicenza nel 1959 già lo dichiarava un problema “urgente”). Marcisce da decenni appeso a impalcature storte e l’insegna pubblicitaria dello studio fotografico Vajenti, rosso squillante, è l’unico elemento che impedisce all’occhio di abituarsi a quei muri informi che, di fatto, per noi sono là da sempre. E che ci ricorda che il rudere è ancora lì, tra i due fiumi, accanto alla piazza dedicata a Matteotti e a un minuto da Palazzo Chiericati, dove fino a pochi anni fa – fino, cioè, all’ordinanza “anti degrado” del novembre 2018 dell’allora sindaco Francesco Rucco – giovani e adolescenti si sedevano ogni pomeriggio, a gruppetti, sui gradini e tra le colonne per chiacchierare e stare insieme. Quel rosso ci segnala il potenziale sprecato di spazi che, in un punto così centrale e bello della città (di fronte, al di là del fiume e del ponte di ferro, si vede la bianca Villa Piovene, restaurata di recente), potrebbero diventare luoghi di aggregazione e di cultura, sullo stile del Faber Box di Schio, o ospitare una nuova biblioteca, dato che i locali di quella storica cadono a pezzi.

Giornale di Vicenza, 1959

Le idee non mancherebbero per rianimare Vicenza, che ormai sembra tornare in vita – brevissimamente e affannosamente – solo nei pomeriggi del fine settimana, galvanizzata da gente che la affolla per aperitivi sovraprezzati e acquisti convulsi, per poi cadere nel silenzio più totale la sera dopo le nove, perfino di sabato.

Guardando dentro le finestre senza vetri dell’ex mattatoio e attraverso il soffitto sfondato del piano terra, vedo il vano di una porta che dà, ora, sul vuoto e su un cumulo irriconoscibile di mobili e spazzatura. Accanto c’è un termosifone, ancora appeso al muro, sotto un tetto che non c’è quasi più. Riesco ad immaginare le persone che hanno percorso quei corridoi e abbassato la maniglia della porta, per entrare in un ufficio adesso completamente scomparso; e guardando gli infissi datati e quello che resta dell’arredo penso a Budapest, dove palazzi e fabbriche abbandonati si sono trasformati in pub e discoteche, spesso mantenendo e rivisitando in modo creativo parte degli interni originari (non è raro vedere piastrelle marroni di una cucina anni ‘60 su un muro rosa fluo, con un maiale stroboscopico appeso al soffitto). Se l’ex macello fosse stato recuperato in tempo, forse oggi quel termosifone sarebbe dipinto di rosso e ascolterebbe la techno ogni sabato notte. Invece il progetto prevede, in una delle città più inquinate d’Italia e in una zona che andrebbe sgravata dal traffico, ovviamente un parcheggio.

Per il momento, comunque, nulla sembra muoversi a parte l’intonaco dei muri e le travi dei soffitti. Come nei vecchi cinema del centro (Corso, Arlecchino, Roma e Palladio), anch’essi in stato di completo abbandono da anni o decenni e per i quali sarebbe bello in futuro vedere qualcosa di diverso da negozi o grandi magazzini di lusso, soluzione che è stata scelta invece per il cinema Italia in Piazza delle Poste a Vicenza o nel teatro Italia di Cannaregio, a Venezia.

Il cinema Corso, forse in parte grazie alla sua posizione molto centrale è apparentemente uno degli edifici abbandonati rimasti più intatti. Attraverso i vetri oscurati delle porte non si vede nulla; sul marciapiedi e sulle colonne, stencil di farfalle nere segnalano i catenacci alle maniglie; le statue della facciata sono ancora tutte intere. Ma mute.

Nei locali dell’Arlecchino, nell’ultimo decennio si è tentato di installare delle aule universitarie, ma sono durate poco. Ci sono ancora lo stemma dell’università di Padova, banchi e poltrone, ma catene e sbarramenti a impedire persino che qualcuno ci si possa riparare per qualche ora la notte.

La struttura in cui si inserisce il cinema è l’edificio anni quaranta della vecchia fiera, che si affaccia sul Giardino Salvi direttamente sulla roggia Seriola (per la salute della quale non si è ancora steso un progetto idrico davvero efficace) e si incastra tra la Loggia Longhena e la Loggia Valmarana, di cui riprende il motivo a colonne in un’eco che resta moderna a distanza di settant’anni. Il progetto di ristrutturazione sembra prevedere un auditorium dentro al cinema e uno spazio espositivo all’interno dell’ex fiera, per il quale qualche anno fa è stato coinvolto anche lo IUAV (progetto VIsioni in corso d’opera).

Nel Giardino Salvi, dal 2016 al 2018 si sono svolte alcune edizioni piuttosto ben riuscite del Lumen Festival, con concerti e street-food; nonostante gli spazi del parco fossero piuttosto limitati, non si è tentato di cavalcare il successo dell’iniziativa per dare una spinta alla ristrutturazione dell’edificio della fiera che invece, per via dei suoi ampi spazi interni e per i suoi esterni particolari, oltre che ben conservati, si presterebbe molto bene ad ospitare grossi gruppi di persone per eventi musicali di quel genere. Non essendo ancora fatiscente né pericolante, probabilmente in una città meno rigida e miope l’ex fiera si sarebbe potuta prestare ad una sorta di “occupazione controllata” a lungo termine come quella del quartiere di Metelkova a Lubiana, un coloratissimo esempio di autogestione creativa in una città relativamente piccola.

Oltre a questi già numerosi edifici abbandonati, nelle immediate vicinanze della spiaggetta sul Bacchiglione, diventata negli ultimi anni un luogo di ritrovo estivo piuttosto fighetto (divanetti bianchi, palme, spritz a 5 euro), e del frequentatissimo park Fogazzaro, c’è il vecchio carcere di San Biagio chiuso dal 1986. Lì durante la guerra furono imprigionati e torturati numerosi partigiani; a ricordarlo nel 2020 è stata posta una lapide commemorativa (in cui però si sente la mancanza della parola “partigiani”), ma al di là di questo, nonostante esistano delle associazioni interessate al luogo e delle proposte di convertirlo in un museo sulla storia dell’edificio, non si mette in moto nessuna discussione, né men che meno un progetto. Con una storia così densa e soffocante che ti fissa da dietro le sbarre delle finestre nere, si fa fatica a pensarlo un potenziale luogo di svago; ma invece di sollevare la questione, chiunque passi di lì ogni giorno decide di lasciarsi fissare, anziché cercare di cambiare le cose.

Così, in un pomeriggio, attraverso l’obiettivo della macchina fotografica ho percorso con l’immaginazione una Vicenza impossibile. Cosmopolita, in rinnovamento, attenta all’ambiente e fiera del suo passato e del suo patrimonio artistico.

E che esiste solo nella fantasia. Nella realtà, come ci raccontano gli scrittori che ci sono nati, è da sempre un posto in cui la nebbia offusca i colori e rallenta la storia – e può darsi che ci piaccia anche così.

Soledad

Gli ingredienti giusti

I desideri non invecchiano quasi mai con l’età.
– Franco Battiato


La scorsa settimana sono andata a Venezia.

L’ultima volta ci ero stata qualche mese fa, in piena estate, per fare da guida a degli amici in vacanza. Come faccio di solito, li ho portati fuori dalle vie più turistiche – lontano il più possibile da Rialto e San Marco – a vedere i miei angoli preferiti, scoperti vagando durante gli anni di università. Però, pur ripercorrendo tratti di strada a cui sono particolarmente affezionata – campo San Barnaba, San Pantalon, le Zattere – la città mi era sembrata qualcosa di estremamente finto. Una scenografia. Le case di campo Santa Margherita mi sembravano delle sagome di cartone, i fiori alle finestre troppo colorati per essere veri, Venezia intera un carillon che girava in automatico. Ero tornata a casa amareggiata e mi ero detta, è passato troppo tempo, la città è tutta diversa e le notizie sono vere: gli alloggi per turisti hanno superato quelli dei residenti, e si vede. O peggio: ecco, crescendo (invecchiando?) sto perdendo l’entusiasmo per tutto, non mi meraviglia più quello che una volta mi piaceva tanto. E via così.

Senza però neanche il tempo di ripensare a queste cose, qualche giorno fa tornata da scuola sono saltata al volo su un autobus per andare in stazione. Lì come previsto ho incontrato la mia amica M. e da quel momento è iniziato una specie di sogno: tutto quanto era uguale a quando andavamo a lezione, io e lei, con il treno delle 14:02 (ora parte un minuto dopo) a far ridere i vicini di posto con conversazioni fatte solo di imitazioni (sapranno mai come parliamo davvero?), per poi dirigerci verso le sedi di Dorsoduro. L’occasione per il viaggio era la proiezione di un film in un’aula dell’università, e quando siamo arrivate è stata una doccia calda di ricordi, di esaltazione e di malinconia.

Tutte le emozioni sono tornate al loro posto, e l’ho detto a M., che come sempre già sapeva. Ho sbagliato ad andarci in estate. La stagione di Venezia è l’autunno. Con l’aria più fredda, la sera che scende mentre esci dalle aule accaldate, i lampioni pallidi sul cielo blu intenso. Le calli con i graffiti ai tuoi lati quando ti affretti verso la stazione. Le vetrine illuminate con pasticcini o libri colorati che fanno voglia ma costano troppo.

Allora gli edifici sono tornati abitati e tridimensionali, e le pareti di mattoni e salsedine. Per strada la lettrice di russo ci ha riconosciute e ci siamo sentite di nuovo al nostro posto, ancora studentesse, non più annebbiate da una routine frettolosa ma lucide e (con)centrate, con la voglia di ritornare in mezzo a studenti internazionali e pavimenti alla veneziana perché è dove ci piace stare.

Non è passato troppo tempo, le strade sono rimaste intatte insieme a tutti i ricordi e io per fortuna non sono ancora totalmente indifferente – devo solo trovare la perfetta combinazione di elementi.

Posso risvegliare il mio coinvolgimento usando gli ingredienti giusti, che sono gli interessi (quelli che non invecchiano), le circostanze, gli stimoli . Così una proiezione sui Balcani, Venezia in ottobre e un’amica che mi capisce mi suggeriscono la ricetta di un antidoto contro il guscio di passività che invecchiando si inspessisce (per proteggermi, d’accordo, ma l’immaginazione si nutre di instabilità). E saprò sempre in futuro – spero – come schiudermi.

Venezia mi tieni legata, tornerò sempre (prometto), spero non d’estate.

Dov’è il Kindle?

10:40 Sto attraversando i boschi tra Cottbus e Dresda su un bus diretto a Praga. E sto impazzendo perché non so se ho lasciato il Kindle nello zaino o se l’ho in qualche modo perso.

Il mix ansia-distrazione è l’equivalente di giocare alla propria vita in modalità media – nulla di tragico, ma potrebbe essere molto più facile.

Però stranamente sembro aver accettato con relativa tranquillità l’idea che potrò verificare solo tra tre ore se è nello zaino o se è perduto per sempre. Prodigi della terapia.

11:45 Più o meno lo stesso tipo di pensieri invadenti mi ha un po’ perseguitato durante l’ultimo viaggio con C., avevo costantemente l’impressione di essermi scordato qualcosa, specialmente gli ultimi giorni. Poi invece non mi ero perso nulla.

Un altro pensiero invadente è stato quello della mia situazione abitativa prossima ventura. La mia coinquilina più anziana (J.) sembra sempre più instabile e violenta. Un litigone per futili motivi tra lei e S. è degenerato in urla da parte di J. che ricordava a S. (e a me) che lei “è la Hauptmieterin (affittuaria principale)” e che dunque quella è casa sua, non nostra. S. sta ora cercando casa, io penso la seguirò a breve, anche se non c’ho cazzi. Mi mancherai, S.

Il kindle era scivolato sotto il sedile.

12.25 Comunque ho tratto grande soddisfazione nel ritrovare gran parte dei luoghi che ho attraversato durante il mio Erasmus, sette anni fa. Soprattutto mi ha fatto piacere che C. li abbia apprezzati e abbia colto in parte i motivi del mio amore/ossessione per l’Irlanda e la sua storia. Che bello poter condividere le proprie fissazioni.

Ho avuto modo di ripensare alla persona che ero sette anni fa (e che scriveva del proprio Erasmus sulla precedente incarnazione di questo blog) e di quanto sia cambiato. Di una buona dose di sicurezza e autostima in più, della serenità che inizia a visitarmi più spesso, ma anche di tutto l’entusiasmo e la passione persi per strada. Dei capelli bianchi. Come per la nave di Teseo, fino a che punto io sono ancora io?

13.35 Il Kindle era sotto il sedile. Il mio peggiore incubo, mi ero convinto a restare calmo e rischiavo di perderlo. “Anche l’ansia può essere preziosa” (semicit.)

In ogni caso, sto rivivendo una strana esperienza che non capitava da anni, avere una persona che mi insegue. Che attivamente cerca la mia attenzione, un po’ come un bubi sovraeccitato. E io mi scopro un gatto schivo che si scosta e cerca di capire meglio, anche solo per dimostrare un po’ di responsabilità emozionale.

Torniamo al discorso per cui sono generalmente in difficoltà e restio ad accettare l’affetto altrui, per non parlare dei complimenti, che considero immotivati nel migliore dei casi, falsi nel peggiore. Welcome to my brain.

Capirò spero presto come/cosa provo e deciderò di conseguenza. E pensare che volevo prendermi una piccola pausa dall’universo e godermi una potenziale cotta per una persona per la quale esisto a settimane alterne – una meravigliosa sintesi tra le emozioni di un quindicenne e la maturità di un trentenne che ha smesso di sbroccare quando non riceve risposta.

E invece.

Nulla di nuovo, in perfetto stile irlandese, “When it rains, it pours/gets sunny again/starts hailing/now it’s raining again/where is all this wind coming from/looks like it’s back to sunny again/for feck’s sake it’s snowing now” (storia vera, Dublino 24/03/2015).

14:30 scendo dal bus, recupero lo zaino, ho tutto, compreso qualche capello bianco in più. Che bella vita.

Shout out per E. che si è dimostrata la stupenda persona che sospettavo fosse e ha coccolato me e C. a Dublino e Howth. Ti aspetto a Berlimo.

25.08.2022

Sette giorni

Sono al settimo giorno di clausura causa peste.
Sette giorni che non fumo. Che non bevo. Che non esco. Che non parlo faccia a faccia con un essere umano che non sia un membro della mia famiglia.
Che palle.

Secondo A. dovrei trasformare questo blog in un diario umoristico delle mie disavventure sentimentali. Io non ne sono troppo convinto. Una volta scritte, risulterebbero tristi e/o crudeli nei confronti delle interessate. Quando le racconto al massimo risulto triste io, sulla scia del pagliaccio di Böll cui mi ha una volta paragonato Mona (adorabile 23enne tedesca di cui manco seppi il cognome prima che svanisse); se le scrivo, si perdono tutti i toni, le smorfie, le braccia levate al cielo e l’enfasi esagerata che ti fa capire che, sì, io sono una povera vittima, ma non del tutto incolpevole. Cioè, “povero, che sfiga, ma forse un motivo c’è…” e a saperlo, mi sarei risolto un botto di grane nella vita. Ecco, se lo individuate, fatemi sapere.

C’è da dire che B., in visita a Berlino, qualche buon consiglio me lo ha dato, ma partiamo da presupposti diversi: lei c’ha una gemella, io ho chiesto un fratello senza mai pentirmene; lei ricerca(va) la solitudine, io la rifuggivo, fin da bambino. Semplicemente, la mia compagnia mi annoia. Non so come facciate voi, ma vi ringrazio e vi credo sulla parola.

Ecco, un annetto di psicoterapia serve anche a questo: a smetterla di darvi dei deficienti perché mi volete bene (per chi mi vuole bene). Ecco, io (non) valgo, ancora fin lì non ci siamo arrivati, però almeno ho smesso di credere che siate tutti stati presi da un attacco di demenza collettiva quando avete deciso di essermi amici e di restarmi accanto, non è un gigantesco patto suicida di masochismo collettivo, una sfida a chi resiste più a lungo in apnea dal mandarmi affanculo. Siete sinceri, probabilmente. La cosa mi terrorizza.

Un annetto di psicoterapia per scendere a patti che l’ansia ce l’ho e non me la levo. Per capire che forse qualche qualità ce l’ho. Per trovarmi moderatamente attraente accettabile. Che poi se iniziamo così dopo il mio ego va in modalità mongolfiera e chi lo riprende più.

Ma tanto c’è una sindrome dell’impostore grande come una casa a tenermi coi piedi per terra, causata dal mio passato “attivismo” e che mi fa sentire un grillo parlante, un blablabla, un rafaniello. Così, quando mi sento un figo, ripenso al fatto che l* compagn* si pigliano le botte e io ai cortei quasi manco più ci vado e vedi come torna l’umiltà.

Ormai fatico molto a parlare di politica e quando lo faccio mi sento un cacchio di liberal, poi J. parte coi discorsi sulla cancel culture e la vena magicamente si gonfia, lo sguardo si focalizza e mi faccio tutto rosso in volto. E urlo, oh, come urlo. Non è bello, ma mi si provoca, istiga, stuzzica. Certe volte pare che si diverta a farsi urlare addosso e lì si capisce che l’unica argomentazione contro il masochismo collettivo di cui sopra è il rasoio di Occam: non è semplicemente possibile che siate tutti così.

Questi pensieri in libertà, beninteso, non hanno lo scopo di farvi sospirare per me, di intenerirvi, nemmeno di innamorarvi. Mi svuoto la cabeza e se voi avete la sfiga di leggerli, peggio per voi. O meglio per voi, magari vi piacciono. O avete due minuti da perdere.

Il buon M. dall’alto del suo americano ottimismo mi ha già invitato un paio di volte a considerare la scrittura seriamente; lui ci si paga l’affitto. Bellissimo, ma non so più cosa dire. Le mie vicende sono poco interessanti, se non mi conoscete. La politica? Non riesco più a guardare al futuro senza una smorfia di cinismo e il passato è passato, è pornografia dei ricordi di epoche innocue perché mai vissute. Perché quasi tutti i protagonisti sono morti. E allora di che parliamo? E infatti non parlo di nulla. E parlo di sempre meno con sempre meno persone.

E. mi avrebbe tirato una sberla se mi avesse sentito parlare così, tra un gelato e l’altro. Lei ha molto apprezzato l’Italia e se l’è filata prima di prendersi la peste. Bravissima.

E in tutta questa enorme, gigantesca, primordiale afasia abilmente occultata da un’incessante logorrea, A. mi ha appena ricordato che forse dovrei aprire un canale YouTube invece di scrivere sul blog. E trasformarmi così nella Carrie teutonica di un Sex and the City in salsa berlinese.

I couldn’t help but wonder… (vedetevi il video qui, è uno spettacolo)

PS sì, ho usato il maschile sovraesteso. Sì, non è particolarmente inclusivo, ma è (attualmente) la soluzione più accessibile per evitare confusione e casini. Absit iniuria verbis.